
immagine presa dal documentario Maroccans Landless
Il movimento delle Soulaliyat
Il contenuto che analizzerò in questo estratto, tratta di una problematica molto frequente in gran parte del mondo conseguenza dei processi di privatizzazione dei territori per mezzo di grandi imprenditori che, spinti dalla smania di arricchirsi favorirono l’esproprio di vaste aree territoriali a danno di gruppi di persone autoctone. In particolare, mi soffermerò sull’impatto che queste grandi trasformazioni portarono nei territori delle zone limitrofe a Rabat e come reagirono le popolazioni in loco, le loro proteste, i loro desideri, focalizzandomi sul ruolo della donna all’interno di questo contesto. Questa riflessione è basata sulle numerose ricerche proposte dalla sociologa Soraya Al-Kahlaoui assieme alle collaborazioni e traduzioni della docente Sara Borrillo, interessata agli studi di genere in Marocco e all’assetto politico sociale affermatosi successivamente alle lotte del movimento 20 febbraio. Con la produzione del documentario Landless Moroccans, Sorava Al-Kahlaoui cercò di produrre un lavoro di ricerca cittadina, intento ad analizzare sia le emergenti politiche di privatizzazione delle terre collettive da parte di ricche aziende edilizie, sia la risposta popolare della tribù del Guich, con un focus sulla reazione femminile. Attraverso l’uso della telecamera, i suoi filmati riuscirono a documentare la vita di coloro che lottarono animosamente per il diritto all’abitare, denunciando così la violenza utilizzata dalle forze dell’ordine. Da sempre vicina al movimento del 20 febbraio, Soraya Al-Kahlaoui “è divenuta sostenitrice del Movimento Hirak e attiva portavoce della Campagna in sostegno dei prigionieri politici arrestati nel maggio 2017. Una donna capace di mettersi in gioco attivamente a favore di un popolo indotto a vivere sotto l’influenza di un forte sistema autoritario. L’attivista, nel suo canale YouTube, pubblicò alcuni video ed interviste, tra cui un estratto del documentario Landless Moroccans, ovvero marocchini senza terra. Il video presenta una serie di testimonianze, uomini, donne, bambini costretti a vivere per strada in mancanza di un cospicuo indennizzo a seguito dell’espropriazione delle proprie terre, inoltre introdusse la lotta di molte famiglie che al grido di “per la dignità, contro i ladri; combattiamo, contro la corruzione” fecero sentire la propria rabbia nei confronti delle politiche monarchiche ingiuste. L’esproprio delle terre collettive è il risultato di processi di riqualificazione guidati da regole prestabilite e politiche di esclusione.
Gli strati più poveri della società vengono metaforicamente confinati in un contenitore ermetico, ai margini dei grandi centri urbani. Nel frattempo, le principali istituzioni di pianificazione edilizia — espressione del potere neoliberale — promuovono la privatizzazione delle aree urbane, considerando accettabili solo quei progetti in grado di generare unità immobiliari “moderne”, in linea con una visione di sviluppo che perpetua un modello escludente.Tali progetti si inseriscono in un continuum di riqualificazione urbana che, più che al benessere collettivo, mira all’arricchimento di pochi.
In questi progetti non c’è spazio per chi attraversa e vive l’ambiente urbano in modo differente rispetto all’immaginario promosso dai modelli stereotipati del tardo capitalismo. Nel suo recente libro In nome del decoro, Carmen Pisanello offre un’analisi accurata di un fenomeno ormai diffuso, soprattutto nei centri delle grandi metropoli occidentali, comunemente definito come gentrificazione. Questo processo si riproduce anche attraverso l’uso di un linguaggio retorico e apparentemente neutro, che maschera l’intento di sovra determinare e controllare gli spazi pubblici, limitando le possibilità di libera fruizione e presenza. Relativamente alla percezione dello spazio e all’uso dell’aggettivo decoroso, la studiosa Carmen Pisanello giunge a conclusioni significative per comprendere i meccanismi di esclusione e inclusione nelle città contemporanee.
“Applicato a un’abitazione, ad esempio, l’aggettivo indica una casa che, nonostante una bassa disponibilità di mezzi, ha un aspetto pulito e ordinato. Decoroso è dunque chi sta all’interno di certi limiti, limiti che valgono soprattutto per le classi subalterne, quelle che vivono gli spazi pubblici per necessità o per scelta.” Questo concetto evidenzia come la retorica del decoro sia spesso uno strumento per esercitare controllo sociale e normativo, soprattutto sui soggetti più marginalizzati. La globalizzazione e la modernizzazione hanno fatto da base all’introduzione di politiche volte alla privatizzazione delle aree agricole appartenenti a molte popolazioni indigene. Le città marocchine e le aree limitrofe hanno così aderito progressivamente ai modelli standardizzati delle città moderne occidentali, che in breve tempo hanno surclassato gli insediamenti tradizionali. Prima di questo processo, la popolazione era prevalentemente rurale e viveva secondo un’economia di sussistenza, fondata principalmente sul commercio di prodotti artigianali.
In Marocco, il caso della tribù dei Guich risulta molto complesso da analizzare per via delle disposizioni politiche poco chiare espresse dalle autorità locali e dal Ministero dell’Interno. In origine, le terre collettive Guich ed in particolare dei Guich Oudaya, vennero riconosciute dal sultano Moulay Ismayl Abderrahman in cambio di servizio militare, infatti la tribù godette per molto tempo la fama di coraggiosi combattenti armati. Successivamente con la fine del periodo coloniale e l’apertura della nazione verso nuove prospettive democratiche, la gestione e la tutela di questa popolazione fu sottoposta al controllo del Ministero degli Interni che assieme a coloro che detengono gli interessi economici del paese, iniziarono a privatizzare interi territori per farne quartieri residenziali. Le terre a causa della loro posizione strategica e della mancanza di disposizioni chiare rispetto al diritto effettivo di proprietà su quei territori, costituirono una risorsa preziosa da poter mettere al servizio degli interessi dell’urbanizzazione. Le terre situate nella periferia di Rabat trovarono in una posizione agevole per la realizzazione di nuovi progetti che con il passar del tempo divennero sempre più concreti fino alla concretizzazione dell’esproprio dell’intera popolazione Guich. Il nome del nuovo quartiere divenne Hay Raid e fu “costruito sulle terre Guich Ouyada, nell’ambito di un progetto dal 1983 sotto il controllo della Societè d’Amenagement Riad (SAR), società parte della Caisse de depot et de gestion (CDG) e incaricata di espropri, lottizzazione e commercializzazione delle terre.” L’istituzione incaricata di redigere questo programma procedette con la distruzione forzata delle case degli abitanti della zona del Douar di Ouled Dlim, lasciando le famiglie senza una soluzione dignitosa. Molte di queste famiglie si ritrovarono senza una casa per via di uno stratagemma architettato dalle autorità competenti, le quali indennizzarono persone che non avrebbero meritato quegli alloggi, aggiunte appositamente nella lista dei beneficiari. Questa pratica sembrerebbe essere molto usuale nell’esproprio delle bidonvilles, spiega Soraya Al-Kahlaoui in un suo scritto a riguardo. A questo punto, gli abitanti di quelle zone decisero di voler ricostruire delle baracche in cui continuare a resistere, cercando di vivere con i prodotti locali fonte di sostentamento della loro economia. Nel frattempo gli abitanti cercarono di costruire un discorso per far emergere le voci di coloro che subirono questo imbroglio, ci si trova difronte ad uno scenario che si inscrive all’interno di quelle dinamiche di discriminazione nei confronti della classe più povera. I diritti dei ricchi sono sempre più potenti e questo genera non solo conflitto ma anche nuove pratiche di resistenza contro questo processo di marginalizzazione continua. L’occupazione, ad esempio, assieme alla condivisione e alla solidarietà divenne una pratica di resistenza quotidiana, nonostante le forze dell’ordine non esitarono a sgombrare famiglie intere.
Coloro che in questo scenario risultarono maggiormente discriminati furono i figli di madre Guich, ai quali — a differenza dei figli di padre Guich — non venne destinata alcuna sistemazione. Tale esclusione fu giustificata appellandosi alla loro discendenza indiretta. Come stabilito anche dal dahir del 1919, solo gli uomini di discendenza Guich avevano diritto a un indennizzo in caso di esproprio. Le donne, dunque, vennero escluse da qualsiasi forma di riconoscimento o compensazione, confermandosi ancora una volta come l’anello più debole, sacrificato agli interessi del potere. Un potere che in questo caso si manifesta con una doppia connotazione: neoliberale e patriarcale. Nonostante la profonda discriminazione subita, le famiglie degli ouled el guichiya (figli di madre Guich) non si arresero: fu proprio la loro tenacia a portarli a riaffermare diritti che erano stati loro negati.
In questo contesto si assistette ad una vera spinta rivoluzionaria delle donne, sempre più capaci degli uomini di utilizzare i media per far emergere la loro parola sottolineando così l’ineguaglianza di genere subita a causa di un trattamento discriminatorio. Le strategie portate avanti si concentrarono principalmente sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso un tipo di discorso che tentava di mettere in luce gli aspetti più drammaticamente problematici di quegli avvenimenti. Le pratiche di resistenza messe in scena dagli abitanti e soprattutto dalle donne, generarono una politicizzazione delle coscienze che di fatto riuscì, anche attraverso l’aiuto di forze esterne come il documentario Landless Maroccans, a dare una forte spinta alla resistenza dei Guich Oudaya.
Bibliografia
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