UN VIAGGIO TRA SAPERI ANCESTRALI E PRATICHE QUOTIDIANE

Questo lavoro nasce da un’esperienza intensa e trasformativa: un viaggio di due mesi in Indonesia, intrapreso come antropologa medica e come esploratrice curiosa del rapporto tra cultura e salute.
Durante questa ricerca sul campo, mi sono interrogata su come la società indonesiana costruisca e pratichi la propria idea di salute e benessere, al di là dei modelli occidentali. In un universo di possibilità terapeutiche, ho scelto di concentrarmi su pratiche tradizionali e millenarie: manipolazioni corporee, utilizzo di erbe, cerimonie, rituali di guarigione. Tutti elementi che raccontano un sapere radicato, tramandato e profondamente connesso alla natura, alla comunità e alla spiritualità.
L’Indonesia, nel cuore del Sud-Est asiatico, è un mosaico complesso di gruppi etnici e sistemi religiosi: più di sei religioni ufficialmente riconosciute convivono pacificamente sullo stesso territorio. Questo pluralismo culturale e spirituale è una delle prime cose che colpiscono chi viaggia nel Paese.
Tra Bali, isola a maggioranza induista, e Lombok, a prevalenza musulmana, ho potuto osservare da vicino come la convivenza e il rispetto reciproco siano valori vissuti quotidianamente, anche nelle pratiche di cura.
Negli ultimi anni, soprattutto a Bali, la turistizzazione ha modificato profondamente il paesaggio culturale. L’isola è diventata una meta ambita per digital nomad e viaggiatori in cerca di benessere, attratti dai costi contenuti, dal clima favorevole e soprattutto dalla fascinazione per “l’esotico”, per il “diverso”. Una fascinazione che spesso si traduce in un viaggio verso l’interno, alla ricerca di spiritualità, pratiche alternative e riconnessione con sé stessi. È in questo intreccio di saperi, contesti e trasformazioni che si colloca il mio elaborato, con l’obiettivo di portare uno sguardo critico, rispettoso e profondamente umano sul tema della salute come costruzione culturale.
Purtroppo, viaggiare comporta talvolta anche la diffusione dell’etnocentrismo: la tendenza a considerare la propria cultura come misura universale, superiore alle altre, relegando ciò che è “altro” a qualcosa di primitivo o arretrato. È a partire da questa presunzione che, nella maggior parte degli studi antropologici dei primi del Novecento, molte osservazioni e interpretazioni sono state guidate da un sentimento di superiorità culturale. Di fatto, l’antropologia ha spesso espanso i propri orizzonti disciplinari attraverso dinamiche di colonizzazione e dominazione.
Fortunatamente oggi questa visione è stata superata, lasciando spazio a nuovi approcci che valorizzano e rispettano il punto di vista dell’altro.
Induismo e Induismo Balinese
In origine il termine hinduismo aveva una connotazione puramente geografica e si riferiva alle popolazioni che vivevano lungo il fiume. Solo in un secondo momento assunse un significato religioso, utilizzato per indicare gli abitanti dell’India che non seguivano le cosiddette “religioni del libro” (cristianesimo, ebraismo, islam).
Chi sono dunque gli induisti? In senso ampio, sono coloro che non appartengono né alle religioni monoteiste né alle religioni indiane con un fondatore storico (come buddhismo, giainismo, sikhismo), né a religioni nate fuori dall’India. La religione indiana tradizionale, non riconducibile a un fondatore unico, si articola in tre grandi fasi storiche:
- la religione vedica o vedismo,
- il brahmanesimo (o hinduismo antico),
- e l’hinduismo moderno
E’ difficile poter dare dunque una definizione precisa di Induismo essere una filosofia di vita molto ricca e varia, con tante divinità (come Shiva, Vishnu, Devi), rituali, miti e pratiche spirituali.
L’hinduismo balinese invece è una forma profondamente locale, adattata al contesto culturale dell’isola, dove il concetto chiave è equilibrio tra umano, divino e natura (Tri Hita Karana). In particolare si differenzia per questo sincretismo tra induismo indiano, buddhista e pratiche animiste preesistenti. A differenza dell’India, dove il sistema delle caste è storicamente centrale, a Bali è presente una forma meno rigida, meno influente nella vita quotidiana.

L’universo balinese è diviso in forze benevole (dewa) e forze più caotiche o pericolose (bhuta e kala). La religione balinese si fonda sull’equilibrio tra queste forze, attraverso rituali, offerte e cerimonie. A Bali la ritualità è parte della vita quotidiana: ogni momento importante (nascita, matrimonio, morte, ma anche l’inizio di un lavoro) è segnato da cerimonie elaborate che coinvolgono tutta la comunità.
Medicina naturale, pratiche e saperi di guarigione
Durante il mio soggiorno in Indonesia, grazie all’incontro con due amici indonesiani, Saffira e Bobby, ho avuto l’opportunità di avvicinarmi al ricco universo della medicina naturale locale. Attraverso una serie di conversazioni e interviste, ho approfondito temi legati alle terapie tradizionali, ai rimedi popolari e alla concezione culturale di salute e malattia, scoprendo un sapere radicato, ancora molto vivo.
È importante sottolineare che in Indonesia esiste un sistema sanitario misto, composto da servizi pubblici e privati. Il governo, come in Italia, fornisce assistenza sanitaria di base attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, le pratiche tradizionali sono ancora largamente utilizzate, non solo per il loro valore culturale, ma anche perché rappresentano un sapere millenario che integra prevenzione e cura attraverso un linguaggio simbolico e naturale.
Molte guaritrici locali descrivono la malattia come uno squilibrio tra stati di “caldo” e “freddo”, una concezione simile ad antiche teorie umorali (come quelle descritte da Ippocrate e riprese poi da Galeno). Saffira mi raccontava che ancora oggi molte persone, soprattutto nelle generazioni dei suoi genitori e nonni, si curano con rimedi naturali tramandati oralmente. Ogni regione possiede tradizioni proprie: ad esempio, in alcuni casi si usa una miscela di salsa di soia e limone per abbassare la febbre. Uno dei rimedi più diffusi e accessibili è il Tolak Angin, una miscela di erbe e spezie a base di miele, zenzero, curcuma e altri ingredienti naturali, disponibile ovunque.

Difatti l’interesse coloniale verso l’Indonesia, fu spinto anche dall’enorme ricchezza di erbe e spezie. Un patrimonio che, ancora oggi, è parte viva della cura quotidiana e dell’identità del Paese.
Ad esempio Jamu è molto più di una semplice bevanda: è una vera e propria forma di erboristeria tradizionale, nata nell’isola di Giava e, in origine, riservata esclusivamente alle famiglie aristocratiche. Con il tempo, però, le conoscenze legate al Jamu si sono diffuse tra la popolazione, dando vita a numerose varianti in tutta l’Indonesia e in altri paesi del Sud-Est asiatico.
Il termine Jamu può essere tradotto come “guarigione attraverso erbe, fiori e radici”, e rappresenta un sistema di cura profondamente radicato nella cultura locale. Come mi ha raccontava Saffira, è particolarmente diffuso tra le donne, che lo utilizzano per alleviare dolori mestruali e crampi. In molte città, le donne preparano e vendono Jamu: per loro è sia un rimedio naturale sia una fonte di sostentamento economico. Esistono molte ricette di Jamu, ma una delle più popolari è il Kunyit Asam, a base di curcuma giavanese, tamarindo, galangal, cardamomo e zenzero. La ricchezza della foresta tropicale indonesiana fornisce inoltre una vasta varietà di fiori, foglie e radici che vengono aggiunti per personalizzare la miscela.
Kerokan
Questa pratica, molto diffusa in Indonesia per trattare diverse affezioni, prevede l’uso di una moneta per raschiare energicamente la schiena, in particolare lungo la colonna vertebrale, al fine di “far uscire l’aria dal corpo”. In contesto cinese, questa tecnica è conosciuta come Gua Sha, un’antica pratica trasmessa da generazione a generazione.
Durante il trattamento possono essere utilizzati anche pezzi di zenzero o cipolla, accompagnati da oli o unguenti come l’olio di cocco, l’olio d’oliva, il balsamo di tigre o l’olio all’eucalipto. La tecnica è spesso impiegata in caso di nausea, febbre, perdita di appetito, stanchezza o malessere generale. Secondo la visione tradizionale, questi sintomi sono causati da un accumulo di “freddo” nel corpo, e il trattamento mira proprio a ristabilire l’equilibrio espellendo questo eccesso.
Si ritiene che la comparsa di segni rossi sulla pelle sia la manifestazione visibile dell’espulsione del “vento freddo” dal corpo. Alcune credenze popolari affermano che, se durante il trattamento la persona suda o emette flatulenze, ciò indichi che il freddo è stato eliminato. Una volta che i segni rossi svaniscono (in genere dopo due o tre giorni), si considera che il corpo abbia ritrovato il suo equilibrio.
L’intero processo del kerokan dura solitamente 30 minuti, offrendo l’occasione non solo per trattare la malattia, ma anche per parlare di questioni familiari, preoccupazioni economiche, politica e pettegolezzi del vicinato.
Oltre alla competenza nel massaggio, un buon guaritore o massaggiatore deve possedere abilità comunicative ed esperienza di vita. Spesso è ben informato su ciò che accade nel quartiere e su temi sociali più ampi. In questo senso, la comunicazione che avviene durante il kerokan offre un importante beneficio psicologico alla persona malata e questo può spiegare perché molti scelgano di ricorrervi più e più volte.


Melukat: Rito di purificazione profonda
Il termine Melukat deriva dalla lingua Kawi (antico giavanese) e significa “purificare” o “liberare”.
Quando misi piede per la prima volta in questo tempio, percepii immediatamente una vibrazione molto alta e un silenzio che mi rimase nel cuore. Il luogo è dedicato alle energie femminili, alla fertilità e alla purificazione dell’essere.
Consacrato alla Trimurti (Shiva, Vishnu e Brahma) le tre principali divinità dell’induismo balinese, questo tempio accoglie pratiche rituali di purificazione molto comuni a Bali. Le abluzioni, eseguite con l’acqua sacra, servono a ristabilire l’equilibrio energetico e spirituale. Ogni rito è accompagnato da offerte: fiori, incensi, candele e dalla recitazione di un mantra, ripetuto per più volte.
Ricordo con gratitudine l’uomo che mi guidò durante il rituale. Grazie a Saffira, che traduceva per noi, riuscimmo a comunicare. Nei suoi occhi c’era una luce viva, e con grande calma mi accompagnò in questo passaggio. In quel momento smisi di sentirmi una straniera: mi immersi nella pratica con naturalezza e fiducia. L’universo mi aveva condotto in un luogo autentico, lontano dai templi invasi dal turismo, ne sono profondamente grata.
Ciò che avvenne per me fu magico ma decido intenzionalmente di non approfondire i dettagli della pratica, credo sia importante custodire certe esperienze senza rivelarne ogni dettaglio. Alcuni luoghi e rituali vanno protetti dal rischio di diventare oggetti di consumo, per preservarne il loro significato.