DALL’ACCUMULAZIONE ORIGINARIA ALLA LOTTA CONTRO LA
MEDICALIZZAZIONE

In questo breve elaborato, il mio scopo è quello di generare una riflessione profonda sul ruolo della donna all’interno della nostra società e sugli stereotipi ereditati dal periodo della caccia alle streghe. Grazie al contributo del libro di Silvia Federici, Il Calibano e la strega (2020), mi sono interrogata sull’impatto della persecuzione delle streghe all’interno della nostra società e su come questo evento abbia influito sul nostro sistema medico odierno.                                                       

Chi è Calibano? Chi è la strega? Perché l’autrice parla di donne, corpo e accumulazione originaria? Calibano è uno dei personaggi della Tempesta di Shakespeare, «è il simbolo del proletariato mondiale come terreno e resistenza alla logica del capitalismo» (Federici, 2020, p.17). La strega invece è la donna ribelle, la madre creatrice, la curandera del paese. Va ricordato inoltre che le persone accusate di stregoneria erano per lo più donne appartenenti alle classi contadine, spesso guaritrici che possedevano conoscenze di medicina popolare e ostetricia. (Zucca, 2021). Federici mette in relazione le donne, il corpo e l’accumulazione originaria perché sostiene che questo momento storico non sia stato solo un fenomeno di superstizione religiosa, ma evento cruciale per la transizione dal feudalismo al capitalismo. In particolare, le persecuzioni e le torture delle donne “streghe” erano parte di un ingranaggio che mirava a trasformare la società, sottraendo potere e risorse alle classi contadine.     

Per continuare a sopravvivere, il modello societario attuale, ha bisogno di continui espropri relegando soggettività ai margini. Gli individui più vulnerabili e poveri, quelli meno produttivi, sono scartati, per far spazio alla logica della competizione. Non vi suona familiare? Ciò avvenne anche in passato con la privatizzazione dei terreni: masse di contadini furono coinvolti in un processo di negazione della loro stessa fonte di sostentamento. Il Medioevo è di certo un periodo storico molto vasto e complesso, per questo guardiamo agli eventi sempre in maniera bi-oculare. Un occhio abbraccia la visione del periodo rinascimentale come un fiorire d’arte e di umanesimo. L’altro occhio, mette in evidenza divieti, umiliazioni e torture inflitte a queste donne. Bisogna precisare che per tutto il Medioevo le persecuzioni sono state sporadiche ed è solo alla fine del XV secolo che si è arrivati al culmine. Regnava dunque un clima di terrore e di condanna, dettato dal potere politico-religioso.                                                      

Gli equilibri di quella società erano destinati a mutare profondamente, la chiesa si impegnava a consolidare il suo potere sulle questioni cruciali della vita degli individui, cercando di controllarle interamente. Uno dei cambiamenti principali riguardava proprio il valore ideologico e simbolico con cui il mondo veniva percepito. Il metodo scientifico guadagnava sempre più terreno, respingendo qualsiasi altra concezione empirica, come quella popolare e tradizionale. Le donne, i lavoratori e la natura venivano considerati risorse da sfruttare, mentre i nuovi apparati istituzionali si consolidavano e rafforzavano per governare e regolamentare questi aspetti della vita quotidiana. Il periodo dei roghi, dunque, può essere visto come il punto culminante di questa transizione, dove le accuse di stregoneria si intrecciavano con l’emergere di una nuova logica di potere e controllo sociale. Questo esercizio venne condotto attraverso tre tipi di espropriazioni:

  1. Della terra e delle risorse naturali
  2. Del sapere e della conoscenza
  3. Del potere decisionale

La tecnica dell’esproprio attuata da funzionari religiosi e politici fu uno strumento efficace per dividere il mondo contadino. La relazione con la terra era fondamentale per loro, e l’uso collettivo delle risorse permetteva a tutti di sopravvivere. Questo processo si accompagna all’obiettivo di sfruttare le risorse naturali del pianeta da parte di grandi apparati produttivi. Un fenomeno simile lo possiamo osservare ancora oggi in diverse parti del mondo, dove si combatte per difendere il proprio territorio. L’obiettivo finale di questi espropri era sempre il profitto per chi già possedeva ricchezze. I contadini, soprattutto quelli più poveri, fino a quel momento vivevano di autosussistenza, ricavando il nutrimento quotidiano dalle coltivazioni o dalle risorse naturali di boschi e foreste. Quando si iniziò a recintare le terre, anche le contadine e le donne anziane tentarono di ribellarsi per proteggere le risorse. La recinzione dei campi distrusse il villaggio come unità economica, e le decisioni importanti per l’intera comunità non furono più gestite in autonomia. Questo fenomeno è passato alla storia con il nome di enclosures, che in italiano indica proprio la recinzione, la custodia, la chiusura.                                                             

Il secondo atto di espropriazione si manifestò nella continua professionalizzazione di alcune figure, specialmente nel campo medico. Si creò un divario tra chi era depositario di “rimedi antichi” e tra chi istituzionalizzava il sapere. L’accesso delle donne all’esercizio della professione medica fu vietato, impedendo di ottenere un diploma o una licenza. Inoltre, molte curanderas che decidevano di esercitare la medicina popolare venivano prima accusate di atti illegali e poi processate. Il dottore divenne una professione esclusivamente maschile. Alle donne fu vietato di fare ciò che fino a quel momento avevano sempre praticato: curare la comunità. D’altro canto, però, in alcuni villggi resistevano donne medicina e guaritrici popolari, custodi di saperi millenari sull’uso delle piante e sulla cura del corpo, nonché levatrici capaci di far nascere bambini. Molte non intendevano abbandonare le loro conoscenze nonostante rischiassero la vita. Nel XVII secolo l’assistenza al parto e all’aborto, le cui pratiche e saperi fino ad allora erano detenuti in modo esclusivo dalle levatrici, furono messe al bando. Le levatrici sono figure centrali nella storia della medicina popolare ed in particolare per quanto riguarda la salute riproduttiva femminile. Erano esperte nel riconoscere i segnali del parto e nel gestire situazioni di emergenza, ma possedevano anche una conoscenza empirica delle erbe e delle pratiche medicinali che potevano alleviare i dolori o prevenire complicazioni durante il travaglio. Molto spesso avevano anche un ruolo di guida spirituale e sociale per le donne in gravidanza, accompagnandole non solo fisicamente, ma anche emotivamente durante la gestazione.                                       

In tutto questo scenario, è chiaro come il pensiero scientista e determinista ha avuto un impatto dominante, traducendosi in una suddivisione meccanica del nostro stesso universo. Fragmentare l’uomo, allontanarlo dalle sue terre, dividerlo dal mondo naturale ha creato un enorme divario tra chi siamo e come percepiamo la realtà. In particolare il distanziamento dal mondo naturale è proporzionale all’incapacità di ascoltare il nostro corpo, la nostra anima.                                                                            

Le forme di guarigione tradizionali e le innumerevoli possibilità di interpretazione della salute sono state brutalmente declassate. La “sabiduría femenina” è stata etichettata come stregoneria, il male assoluto, il patto con il diavolo. È evidente come la stregoneria sia stata utilizzata non solo per disumanizzare le donne, ma anche per cancellare pratiche di cura tradizionali. La medicina popolare, quindi, divenne la medicina delle streghe, vista come non conforme alla norma, fatta di superstizioni e leggende senza valore. L’adozione stessa del termine “superstizione” ha permesso di allontanare sempre di più uomini e donne dalle loro conoscenze ancestrali. Creare forme di stigmatizzazione ha avuto lo scopo di controllare la psicologia della popolazione, attaccando il sistema dei valori per fomentare una guerra ideologica che, in un certo senso, possiamo ancora oggi osservare attraverso il fenomeno del Covid. L’alienazione, l’isolamento e la divisione delle comunità sono stati fattori che hanno alimentato paura e, in molti casi, polarizzazione sociale. Le restrizioni sanitarie e le incertezze globali hanno reso più difficile il senso di solidarietà e connessione tra le persone, e questo ha potuto favorire sentimenti di ansia e sfiducia. Su questo tema, il filosofo francese Michel Foucault ha coniato il termine “biopolitica”: un tipo di governo che si concentra sulla gestione della vita, della salute, della popolazione e delle sue dinamiche. Mentre in passato il potere era legato principalmente alla sovranità e al controllo diretto del territorio, con la biopolitica il potere si sposta verso la regolamentazione e la gestione delle vite individuali e collettive. Frammentando la società, si disciplina un popolo. Come sappiamo, la storia è più circolare che lineare, infatti durante il periodo pandemico abbiamo constatato come logiche simili siano state applicate in modo più sottile. La paura del Covid ci ha portato a una dipendenza morbosa dal sistema medico occidentale, silenziando il vasto mondo dei possibili sistemi di cura. Allontanandoci dal nostro sentire, ci avviciniamo dinuovo all’uomo-macchina.

Restituire dignità, restituire consapevolezza.

Nominare la caccia alle streghe come un vero e proprio genocidio è un atto di restituzione storica che rivela quanto queste donne siano state scomode al potere politico-religioso in un periodo di transizione verso il capitalismo. Viviamo immersi nella cultura della rimozione storica, in un tempo sempre più distante dalla storia degli umani, quella delle nostre nonne, della natura, delle piante, del vivere comunitario. Abbiamo dimenticato, per esempio, che Halloween era la festività pagana di Samhain, un’occasione per ricordare gli antenati e le loro pratiche. Oggi vissuta meramente come uno dei tanti giorni per la commercializzazione di qualche prodotto. Fortunatamente grazie alle battaglie di molte donne, il concetto di “strega” oggi è completamente divergente dal concetto di “strega” nel Medioevo: passando così da simbolo di paura e distruzione a emblema di resistenza e empowerment. Strega è guaritrice, strega è madre della terra, strega è custode dei boschi e della natura, strega è amica della pianta, strega è donna.                                                       

Uno dei motivi per cui la società teme fortemente la parola strega è dovuto dal fatto che rievoca il potere emotivo delle donne. Molti studiosi hanno avuto forte timore della potenza femminile: Bacone, ad esempio, aveva paura che potessero influenzare lo sviluppo della moderna scienza con il loro sapere. Il movimento femminista degli anni 60’, con lo slogan “Tremate, le streghe son tornate”, rivendicava il diritto all’autodeterminazione del corpo richiamando l’attenzione su quel femminicidio storico mai risarcito. Di fatto la chiesa ha distrutto molti archivi per evitare che venissero fatte stime accurate sul numero delle vittime. (Lussu, 2011, p.14).                                                                                                                   

Si può notare che da sempre i vari dispositivi di potere hanno agito per conformarci ad una specifica idea su chi siamo, chi dovremmo essere e su quale ruolo occupare nel mondo. La persecuzione delle streghe, la recinzione, l’espropriazione della terra, gli attacchi alle guaritrici e alle levatrici, l’erosione di un certo tipo di sapere sono stati tutti fattori determinanti nel cambiamento della popolazione in un’ottica di medicalizzazione e controllo della vita degli individui. Il corpo femminile, in particolare, fu oggetto di controllo attraverso il lavoro domestico, la riproduzione e la cura, ma anche attraverso l’eliminazione delle pratiche di medicina popolare che le donne avevano sviluppato. “Quando le donne hanno la luna” di G. Ranisio è un libro che analizza il corpo femminile e le sue trasformazioni nel corso della vita, esplorando come la società abbia cercato di regolarne e controllarne le fasi naturali attraverso vari strumenti storici e culturali. In particolare, l’autrice si concentra sul modo in cui la pubertà, il ciclo mestruale, la gravidanza e la menopausa sono stati trattati come problematiche da “curare” o da adattare a modelli di produttività e ritmo sociale, spesso con l’intervento della medicina e dei farmaci. Queste fasi, che potrebbero invece essere momenti di rivendicazione e riflessione sul proprio corpo e sulla propria identità, vengono invece viste come disfunzioni da normalizzare, in opposizione alla fretta e alle aspettative sociali che dominano la vita quotidiana. L’autrice riflette anche su come la connessione con la natura e il ciclo lunare delle donne venga spesso trascurata o sottovalutata. Questo processo di indottrinamento ha avuto profonde ripercussioni sulla nostra concezione del lavoro, del tempo, della sessualità e, più in generale, su come vediamo e percepiamo il nostro corpo. Abbiamo perso quel legame di intimità con la natura che ci circonda, così come la connessione organica ed energetica con gli altri esseri viventi. Nelle epoche successive, e nel mondo sempre più globalizzato, l’interesse della biomedicina per il controllo maniacale della donna e della sua sfera riproduttiva si è fatto sempre più invasivo. Questo processo sembrerebbe partire proprio da una sorta di “esproprio” delle competenze terapeutiche. In passato, come abbiamo visto anche nel caso delle streghe, molte delle conoscenze terapeutiche erano intrinsecamente legate a un profondo senso di comunità: erano beni collettivi, condivisi dalla comunità anziché appartenere a un singolo individuo. Le pratiche di cura del corpo e l’uso di rimedi naturali, in particolare l’impiego delle erbe, erano competenze diffuse tra le persone. Tuttavia, come evidenziato dalla storia, queste pratiche sono state gradualmente eradicate tramite un incessante processo di medicalizzazione, che nel corpo femminile ha trovato la sua massima espressione nella gestione della della riproduzione biologica. Così, il corpo della donna è diventato un “luogo pubblico” (Duden, 1994), sotto la giurisdizione esclusiva della biomedicina.

È proprio in questo contesto che si inserisce la biomedicina, che si è convinta di poter monitorare e controllare ogni aspetto della vita biologica, dalla fecondità alla gravidanza, dal parto alla menopausa, fino all’infertilità, con un approccio che si vuole assoluto e perentorio. Ciò che fa questo tipo di atteggiamento è continuare a proporre diagnosi mediche molto dannose per la donna con annesso un utilizzo massiccio di farmaci (un esempio è l’odierno abuso della pillola anticoncezionale). L’altra grande azione attuata dai processi medicalizzanti risiede nel controllo sull’ambiente circostante, dunque sulla natura. Espropriati soggetti e comunità della possibilità di agire sull’ambiente, delle basilari competenze di salute primaria e della presa sui diversi momenti dell’esistenza, l’unica risorsa di salute disponibile è quella professionale e statale. Fortunatamente, ci sono ancora persone che oggi lottano per preservare pratiche e conoscenze, per tutelare la salute collettiva e sfidare un sistema che opprime attraverso i suoi schemi e metodi. È giunto il momento di riscoprire le radici del passato, di comprendere il presente e di immaginare un futuro intriso di speranza. Possiamo farlo tracciando il nostro cammino all’indietro nella storia, per imparare a creare consapevolezza. Scegliere una via “altra” è essenziale! Riconnetterci ai nostri saperi ancestrali, ripartendo dall’educazione e dal modo di percepire l’ambiente che ci circonda, sono gesti fondamentali per una vita piena e autentica. E tu se sei arrivato fin qui: quali pratiche e con quali strumenti immagini di costruire un futuro di comunità connesse con la natura?

Riferimenti bibliografici

  • Duden D. (1994), Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Torino, Bollati Boringhieri
  • Federici S. (2020), Calibano e la strega: le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Milano, Mimesis.
  • Federici S. e Curcio A. (2021), Reincantare il mondo: femminismo e politica dei commons, Verona, Ombre corte.
  • Lussu J. (2011), Il libro delle streghe, Ancona, Gwynplaine.
  • Merchant C. (1986), Scavare nel grembo della terra, Torino, Rosenberg & Sellier.
  • Pizzini F. (1999), Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Milano, FrancoAngeli.
  • Ranisio G. (2012), Corpo femminile e medicalizzazione, in Cozzi D. (a cura di), Le parole dell’antropologia medica, Perugia, Morlacchi, pp. 67- 83.
  • Ranisio, G. (2006). Quando le donne hanno la luna. Credenze e tabù. Baldini Castoldi Dalai.
  • Starhawk (1982), Dreaming the Dark: Magic, Sex & Politics, Boston, Beacon Press (MA).
  • Zucca M. (2021), Donne delinquenti. Storie di streghe, eretiche, ribelli, bandite, tarantolate, Torino, Tabor

Pubblicato su https://rivista.edizionimalamente.it/

Lombardi S., Donne e streghe. Dall’accumulazione originaria alla lotta contro la medicalizzazione, in Rivista malamente n.36, aprile 2025, pp. 71-81, edizioni malamente, Urbino.